3 SGUARDI sui lavori di Lina Saneh e Rabih Mroué

Fermata Stratagemmi

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Photo-Romance / Un incontro particolare

La biancheria che sventola sui tetti di Roma; Sophia Loren che ritira il suo bucato mentre discute con Marcello Mastroianni: è un frammento cinematografico denso di parole, carico di sguardi, pregiudizi e confessioni entrato nell’immaginario collettivo della storia del cinema. È il 6 maggio 1938, quando nella Città Eterna è attesa la visita in pompa magna del Führer,accompagnato dal corrispettivo Duce nostrano. Antonietta e Gabriele, però, non partecipano alla grande parata: si scorgono dalle proprie abitazioni, poi si incontrano e si confidano, ognuno nei propri tormenti, così distanti eppure irresistibili. Insieme vivono la loro “giornata particolare”, fuori dal rumore di quell’evento storico a cui, per ragioni differenti, non parteciperanno. È proprio da questo indimenticabile film di Ettore Scola (1977) che prendono le mosse Rabih Mroué e Lina Saneh per il loro Photo-Romance. Non siamo più alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, bensì durante la guerra civile in Libano, nel 2006, in una giornata in cui il centro di Beirut ospita due grandi manifestazioni opposte. Sul palco, Lina si confronta con un consulente legale (Rabih Mroué), per avere la certezza che il loro nuovo lavoro non venga considerato un plagio e possa mantenere un margine (giuridico) di originalità. Con il copione in mano, Saneh legge i dialoghi tra due personaggi che vediamo proiettati sullo schermo. In video, una donna e un uomo si incontrano; lui un dissidente politico, a lungo imprigionato nelle carceri israeliane, lei una casalinga impegnata in faccende domestiche. Come suggerisce il titolo, seguiamo le loro vicende come in un vero e proprio fotoromanzo: le sequenze di fotogrammi in bianco e nero si alternano veloci, animate dalla voce dal vivo di Lina. Le due storie si accavallano, si lambiscono e si mischiano: le scene ambientate in Libano ripercorrono quelle romane dirette da Scola. I due incontri slittano l’uno sull’altro, in un continuo gioco di rimandi e citazioni: le tazzine sporche in un lavandino, una storia d’amore impossibile, i panni stesi. È ancora una volta la Storia che entra nella quotidianità, anche quando si decide di mettersi di lato, in una continua affinità di pensieri ed emozioni, nello scambio universale tra generazioni, popoli e persone così troppo spesso, e troppo similmente, schiacciate da guerre, oppressioni e dittature.

Andrea Malosio

Make Me Stop Smoking / Gli archivi spezzati

Elenchi, cataloghi, documenti e foto sono tutte parti di un possibile archivio che Rabih Mrouè ordina nel suo computer. Archiviare, d’altronde, vuol dire mettere da parte e quindi, tendenzialmente, porre da un lato e concentrarsi su altro, sapendo però che, nel momento in cui si desiderasse ricordare, quel materiale sarà sempre lì disponibile per richiamare alla memoria qualcosa di non più immediato. La performance mostra come sotto ogni serie di immagini di tombini, lampioni, manifesti, foto di persone scomparse si leggano e intravedano, in un modo quasi sempre indiretto, scene di ordinaria quotidianità segnate da un lutto nazionale: la guerra civile in Libano. Rabih Mrouè, solo sul palco, seduto a un tavolino col suo computer collegato a uno schermo, mostra al pubblico i suoi archivi interrotti: foto di pezzi di città, di dettagli, che prima o poi vengono abbandonate, per passare a un interesse successivo. In scena si materializzano i ricordi di un tempo passato in cui l’artista si riconosce testimone e partecipe di un conflitto di cui si sente complice. Con ironia e un velato dolore, il performer sovrappone al materiale accumulato pensieri e commenti, formando un copione su tutto ciò che circonda una semplice foto di un lampione o di una strada, mostrando in sottofondo le scene di una guerra, durata quindici anni, entrata nel fare quotidiano. Quanto non agire, limitarsi ad assistere, o la quotidianità che conduce alla dimenticanza ci portano a essere complici? «Meritano rispetto i dubbi e l’irrequietezza di tutti quelli che di fronte all’ingiustizia cercano il loro modo di stare dalla parte giusta della Storia. Chi si sente tranquillo e pieno di certezze… da che parte della Storia sta?». Scrive così Zerocalcare nel suo fumetto uscito su “Internazionale”, sul caso dell’attivista Ilaria Salis in carcere in Ungheria con l’accusa di lesioni aggravate nei confronti di manifestanti di estrema destra. La questione allora è questa: come si può fermare un’azione violenta o una guerra? chi si astiene che ruolo interpreta? Nessuna risposta è apparentemente corretta e risolutiva e l’interrogativo cardine, riproposto proprio in questo spettacolo, resta enorme: quanto, e come, siamo tutti coinvolti nelle tragedie della Storia?

Francesca Rigato

Second Look-Paranoia TV / Di memoria e collezionismo

Avete presente quelle bancarelle nei mercati delle pulci che si presentano con enormi scatole colme di vecchie fotografie ingiallite e cartoline firmate da calligrafie di altri tempi? Memorie intrappolate in un passato più o meno lontano, attimi racchiusi in immagini ormai sbiadite che, forse proprio per questo, acquisiscono un fascino nostalgico nei confronti di ciò che è stato. Rabih Mroué – con grande rassegnazione della compagna e collega Lina Saneh – le colleziona. Second Look/Paranoia TV parte da qui: un interrogativo su cosa significa effettivamente appropriarsi e conservare istantanee appartenute ad altri, di un mondo passato. L’installazione, espressa in formato video, si declina in dieci episodi accompagnati dall’alternanza delle voci di Mroué e Saneh. Il tema del collezionismo funge da pretesto ai due artisti libanesi, da anni in stanza a Berlino, che ampliano così la riflessione sulla relazione dialogica instauratasi tra fotografia e osservatore. Qual è la connessione tra noi, collocati nel qui e ora, e coloro che non esistono più se non attraverso una filigrana scolorita? Cosa ci affascina nell’immaginare le vite delle persone ritratte in quelle foto? È un semplice atto di voyeurismo? Mroué dice: “Le sto salvando”. Ma da cosa, e soprattutto a chi interessa tutto ciò? Di certo non ai morti. Le pellicole proiettate sullo schermo a questo punto scorrono a ritroso, in un susseguirsi quasi frenetico di una serie di negativi e di bianco e neri. Volti sconosciuti dai bordi indefiniti, non sempre a fuoco, che ricordano al drammaturgo libanese i lunghi pomeriggi passati davanti alla televisione nel salotto di casa sua, a Beirut. Un tempo lontano, prima della guerra, prima della Germania. Forse allora è proprio questo il punto. Immagini dal passato, ritratti di sconosciuti, ricordi altrui: tutto ciò può essere utilizzato come chiave di accesso a memorie individuali che penseremmo perdute ma che, inevitabilmente, rimangono inconsciamente parte di noi e condizionano il nostro vissuto. Certo, è solo una possibilità. Nel dubbio, Rabih e Lina continuano la loro collezione.

Elena Vismara

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