SGUARDI – MAINTENENT, C’EST À VOUS

Fermata Stratagemmi / Portrait pour Amandine

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In lingua lingala, una lingua bantu parlata nella regione del Kasai, nel bacino del fiume Congo, esiste una sola parola per indicare il concetto di “ieri” e di “domani”: in fondo, cosa sono entrambi se non la negazione dell’“oggi”? Allo stesso modo, con un’unica formula si può esprimere sia “amore” sia “legame”; anche qui, non è difficile intuirne l’idea di fondo. Questo sbilanciamento quantitativo tra segni linguistici e significati, tra parole e concetti, è stato per molto tempo descritto dagli studiosi europei e nordamericani con l’espressione di “economia linguistica”: un’indicazione di povertà di linguaggio, associata a culture – quelle africane – che nel tempo sono sempre state affiancate a un’idea, tutta occidentale, di arretratezza. Cosa succederebbe, però, se adottassimo un’altra prospettiva; se cambiassimo posizionamento e ribaltassimo il punto di vista; se, anziché parlare di “economia”, usassimo il termine “ecologia”? Sarebbe decisamente tutta un’altra storia, soprattutto di questi tempi.

È questa solo una delle riflessioni sul ruolo della spazialità affrontate in Mamu Tshi, portrait pour Amandine, spettacolo di danza krump del coreografo congolese Faustin Linyekula, ideato in collaborazione con la danzatrice Mamu Tshi – nome d’arte di Amandine Tshijanu Ngindu –, con il quale si apre la stagione 2024 di ZONA K. Il filo conduttore di quest’anno verte sul tema “Geografie”, pensato per essere declinato in tre momenti: “Transiti”, “Territori” e “Rotte”. Nell’editoriale dedicato al primo focus, firmato da Jacopo Tondelli, co-fondatore di “Gli Stati Generali”, il giornalista ragiona sulla relazione, strettissima, tra storia e geografia: «Non si fa storia senza terra, non esiste storia senza confini da attraversare, conquistare, ripristinare, sacrificare. Non esistono popoli che non dicano, a ragione e più spesso a torto, questo è mio. Non esiste storia senza geografia».

La coreografia ha inizio su un palco pressocché spoglio e buio: alle estremità laterali solo uno sgabello e un televisore. Mamu Tshi – icona della danza urbana contemporanea, anche lei originaria della Repubblica Democratica del Congo ma trapiantata a Losanna – avanza lentamente con passi di krumping che, a scatti, lentamente, la portano al centro della scena. Ad accompagnarla è un ritmo lento ma persistente, un sottofondo di bit urbani che si susseguono senza darle tregua, la incalzano, ora accelerano, ora diminuiscono. Bit, contrazione. Ancora bit e contrazione, senza perderne uno. Nel frattempo, sullo schermo appare un video: immersa nella natura, circondata da rocce e da una vegetazione selvaggia, Mamu Tshi danza nei pressi di una cava. Il luogo di questa performance si trova nella regione del Kasai, nel Congo centrale, da dove proviene la famiglia di Mamu Tshi e dove, insieme a Linyekula, la danzatrice si è recata per riconnettersi alle proprie origini. Nel filmato, le movenze della performer sono simili a quelle dal vivo, solo un po’ più fluide e meno spigolose, ma pur sempre scandite da movimenti perentori appena percepibili: è un corpo che si muove nella natura come se stesse provando a tracciarne i contorni, a definirne i colori, a distinguerne suoni e odori; come se stesse provando a raccontare, a passo di danza, la propria appartenenza e la sintonia con quel luogo. Il contrasto tra l’accompagnamento sonoro urbano e le immagini riportate dal video si fa più stridente: la forza soverchiante della natura prende il sopravvento ed esce dallo schermo sotto forma di note musicali che non hanno più nulla a che vedere con quelle di poco prima. Ora non c’è più un controllo da parte della danzatrice in scena, che platealmente cerca di ampliare movimenti e respiro, ma puntualmente viene schiacciata da un ritmo sempre più prepotente, soffocante, inarrestabile.

D’un tratto, tutto cessa. Le immagini scompaiono, la luce si spegne, la musica si arresta. E Mamu Tshi prende la parola: si siede su quello sgabello a lato del palco e inizia a raccontare parte della sua storia famigliare, di come il padre, linguista, le spiegasse la ricchezza della sua lingua d’origine, e di come per lungo tempo si sia interrogata sulla propria multiculturalità. Una serie di sequenze danzate si alternano a queste riflessioni, insieme a ricordi intimi della propria famiglia condivisi con il pubblico in forma dialogica. E non è un caso se anche la scenografia adesso sia mutata leggermente: al centro del palco è apparso un cerchio di luce caldo, avvolgente, e Mamu Tshi vi danza intorno. I suoi gesti si fanno più ancestrali, accordandosi alle note di un tappeto sonoro nuovo: appaiono sullo schermo i famigliari di Tshi, che ballano a ritmo di percussioni e voci dalle caratteristiche tribali. Invitando il pubblico a riflettere sulla relazione che ci lega tutti in quanto esseri umani abitanti della Terra, la danzatrice entra occasionalmente e per istanti brevissimi al centro di quel cerchio di luce.

Avviene, con la danza, ciò che le parole hanno anticipato: uno spostamento ideologico che vuole uscire dall’incasellamento che per secoli ha messo al primo posto un’unica cultura su tutte – quella occidentale –, posizionando al centro del discorso quei luoghi che, storicamente, sono sempre stati confinati a periferia del mondo, politicamente, socialmente e culturalmente. Tondelli scrive che «Le geografie che guardiamo […] ci mettono proprio davanti a un bivio: ci ricordano che niente è dato, e ogni terra promessa giusta è solo frutto di scelta e decisione». Mamu Tshi ci invita a prenderla, questa decisione, a metterci in discussione, spostare il nostro punto di vista e dar voce a coloro che finora non sono stati mai i protagonisti della storia. In uno degli intermezzi parlati, la luce che puntava al centro del palco adesso si riflette sul pubblico: ora che siamo stati messi di fronte a questa nuova prospettiva, cosa pensiamo? Come reagiamo? Lei nel cerchio luminoso ci è entrata: lo ha affrontato, raccontandolo e condividendolo. Ora tocca a noi, o come direbbe lei: maintenent, c’est à vous.

Elena Vismara

Foto Sarah Imsand©

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