SGUARDI – La musica della Rivoluzione. Ramy Essam in concerto

Fermata Stratagemmi / RAMY. THE VOICE OF REVOLUTION

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Da dieci anni, Ramy Essam vive in Svezia, in esilio dall’Egitto, senza potervi fare ritorno. Casa sua è diventato un luogo irraggiungibile, proibito, illegittimo, osservabile solo a distanza, una lontananza che però permette di mettere a fuoco con estrema chiarezza il soggetto inquadrato.

Dall’incontro di Valeria Raimondi ed Enrico Castellani (Babilonia Teatri) con Ramy, voce simbolo delle rivolte del 2011 di Piazza Tahrir al Cairo, è nato uno spettacolo-concerto in cui il cantante ripercorre, attraverso le sue canzoni, valori e ideali che hanno smosso le coscienze nel mondo arabo in quelle “primavere”. Queste rivoluzioni non hanno sortito l’effetto sperato, sono state represse e schiacciate da nuovi regimi, simili ai precedenti; eppure sono esistite, hanno segnato un passaggio importante per la storia contemporanea e hanno impresso un solco nella memoria collettiva di queste nazioni.

La realtà egiziana non è così lontana da noi, e i Babilonia, insieme alla traduttrice Amani Sadat sempre presente in scena, giocano un ruolo fondamentale di mediatori per il pubblico italiano: con una videocamera a presa diretta, inquadrano Ramy – il suo primo piano viene proiettato su un grande schermo collocato nella parte retrostante della scena – e intervengono a contrappuntare il dipanarsi del suo racconto, delle sue affermazioni. Con tutto questo è necessario fare i conti: Ramy è testimone diretto e apertamente coinvolto in ciò che è avvenuto durante quei concitati giorni di manifestazioni e scontri di piazza, di quelle istanze che hanno portato alla rivolta milioni di persone, che hanno condotto in strada moltissimi giovani, con la speranza (o l’illusione) di cambiare il mondo. Ma ne è anche immagine pubblica e rispecchiamento comunitario: con un’estetica riconoscibile, ha cantato in quei giorni, inneggiando con la folla, e ora canta di quei giorni, riverberandone l’essenza. Così ci racconta delle tende divenute scuola nella piazza, prototipo di un nuovo modello di educazione, caposaldo di qualsiasi civiltà illuminata da barlumi democratici; e dei duri scontri con i militari, delle violenze, dei proiettili di gommapiuma sparati senza pietà sulla folla. La musica diventa così strumento capace di dare voce al sentire comune, ma anche a coloro che sono privati della libertà di parola: Ramy trasforma in canzone la lettera di un suo caro amico arrestato e poi morto in carcere. Il suo dolore diventa così espressione di una sofferenza condivisa non solo da chi la vive in prima persona, ma anche da chi, ascoltando queste parole, ha la possibilità di accedere a un grado di avvicinamento empatico forte e realmente sconvolgente.

Ramy Essam resta un sorvegliato speciale: ricercato nel proprio Paese, dove non può fare ritorno, non può parlare apertamente dell’Egitto se non attraverso le sue canzoni (oggetto di censura in patria); gode di protezione internazionale dopo aver ottenuto lo status di rifugiato politico in Svezia. Continua a cantare la rivoluzione, provando con la forza della musica a diffondere ancora quegli ideali che paiono oggi sopiti, per sovvertire un regime che opprime e calpesta i diritti.

Gli intermezzo di raccordo realizzati da Raimondi e Castellani riescono a scardinare realmente le barriere di distanziamento che intercorrono tra la vita di Ramy e ciò che riguarda tutti noi da vicino, presi nella nostra quotidianità: invitano il pubblico a riflettere direttamente su come, molto spesso, gli eventi dolorosi siano in grado di smuovere la nostra sensibilità solamente se ci riguardano direttamente, se ci toccano dal vivo. Così, sentire le parole di Ramy e vedere il suo corpo-testimone in scena ci apre realmente all’incontro con l’altro, con chi ha scelto di porsi davanti a noi per raccontarci una storia vera, dolorosa, profondamente umana e necessaria.

Andrea Malosio, Alice Strazzi

foto Eleonora Cavallo

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