SGUARDI – Playing life

Fermata Stratagemmi / [ The Frame ]

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Davanti agli occhi degli spettatori scorre una folla scomposta di passanti. Alcuni, passeggiando lungo la vivace arteria di Via Paolo Sarpi, a pochi passi dalla stazione ferroviaria di Milano Porta Garibaldi, nemmeno si accorgono del modesto gruppetto di persone che li sta osservando. Altri, meno assorti nel brusio della propria quotidianità, o nella musica delle proprie cuffiette wireless, guardano in direzione della platea – allestita per l’occasione in una piccola traversa – e scattano una foto veloce. Altri ancora, forse spaventati dall’essere coinvolti in qualche bizzarra situazione, accelerano il passo tirando il braccio del proprio accompagnatore.

Eléctrico 28, collettivo internazionale austriaco/catalano, approfitta di questa pulsante umanità per dare forma a una performance site-specific, resa viva da uno spazio pubblico abitato da una comunità di persone.

Una voce registrata si diffonde attraverso le ingombranti cuffie che gli spettatori hanno ricevuto poco prima di accomodarsi su alcune sedie posizionate sul fondo di una via chiusa, e indossano una mascherina da notte. Si viene invitati a credere di essere altrove per tutta la durata della performance, a sostare in uno spazio sospeso «against the permanent hurry», dove non c’è il timore di essere mangiati dal tempo che corre. Giunge poi il momento di togliere la mascherina e scoprire finalmente lo sguardo.

Gli spettatori osservano una porzione di una strada, una via incorniciata dagli spigoli di alti palazzi, che diventa una sorta di inquadratura cinematografica, in cui risaltano vividi i colori della città. Si ha la sensazione di essere di fronte a una cornice, come suggerisce anche il titolo [ The Frame ], dentro la quale quattro performer appaiono e scompaiono, sfoggiando grandi sorrisi e occhi attentissimi. Una delle attrici segue dapprima una vivace signora intenta ad accendere una sigaretta e, senza dire una parola, estrae un grosso cartello con la scritta “Smoking”. A pochi passi, camminando in direzione contraria, un giovane passante si ferma divertito; nemmeno il tempo di immortalare la bizzarra platea che un’altra attrice compare alle sue spalle con un ulteriore cartello: “Stop”. Si alternano così azioni spontanee e messaggi in un veloce e imprevedibile rincorrersi. Un invito continuo a scoprire il fascino dell’irrilevante: valorizzare l’unicità dei gesti nell’istante in cui avvengono, appena prima che vengano scordati.

Accompagnati dalla musica di un sassofonista jazz, colonna sonora inconsapevole di una improvvisata performance urbana, corpi indaffarati in consuete attività urbane attraversano la singolare inquadratura; nel frattempo il collettivo Eléctrico 28, armato di grossi microfoni panoramici, amplifica i suoni del Quartiere Sarpi. Raccolgono così i suoni della città, rubando alle persone brevi istantanee sonore: un ticchettio di tacchi, lo stridulo rumore di un passeggino, fruscii di foglie, parole al vento, e tonfi di oggetti che cadono, componendo una partitura musicale spontanea e inusitata.

Scena dopo scena prende forma una commedia senza trama, costruita su immagini quotidiane che ritraggono gli inconsapevoli attraversatori di questo spazio scenico urbano,  offrendo, agli occhi degli attenti spettatori, uno spettacolo senza fine.

«Come stai?» chiedono gli artisti sul finire della performance alle persone che incrociano.

«Bene».

«Bene, grazie. Tu?»

Qualcuno aggiunge: «Accaldato». Altri dicono: «Scusa, sono di fretta …».

Una signora, uscendo dal negozio di fronte, azzarda un consiglio: «Bisogna sempre dire che si sta bene. Che poi a furia di dirlo magari succede veramente. Siate felici».

Si attua una rivalutazione dell’importanza e della potenza di dettagli trascurabili, che riescono a convincere il pubblico a godere del “nulla”; o meglio: di quell’inconsapevole poesia quotidiana scritta nella vita delle persone qualunque.

La voce in cuffia congeda gli ascoltatori, invitandoli a praticare più spesso questo rivoluzionario «endless exercise of observation» nella speranza, forse, di riscoprire il gusto della complessità nella semplicità dei gesti quotidiani a cui spesso si assegna poco valore, nella malsana convinzione che ci sia sempre qualcosa di molto più importante (o produttivo?) a cui prestare la nostra attenzione. Gli spettatori si riversano ora disordinatamente nelle strade da cui sono venuti: palco e platea si sovrappongono e si contaminano, rimuovendo il discrimine tra chi osserva e chi è osservato, e tornano a essere un unico e distratto mosaico di umanità viaggiante.  

Ivan Colombo, Nadia Brigandì

foto Sara Meliti ©

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