SGUARDI – MENZOGNA E SORTILEGIO

Fermata Stratagemmi / The making of Berlin

Sorry, this entry is only available in Italian.

Sullo schermo, che funge da sipario, scorre la ripresa di una Berlino dall’alto, con il suo reticolato di strade, parchi e case. La sequenza prosegue, portando l’osservatore all’interno di un edificio dove, in mezzo a una stanza, c’è un uomo di spalle che osserva fuori da una grande finestra. Appena nell’inquadratura compaiono i tecnici addetti ai lavori, una voce fuori campo urla “cut” e la telecamera si spegne per lasciare spazio a quella del “making of”. Si dispiega, a partire da questo momento, un meta-documentario teatrale, nel quale viene narrata la storia di quell’uomo di spalle: Frederich Mohr, il vecchio direttore di scena della Berliner Philharmoniker durante la Seconda guerra mondiale.

Così The making of Berlin – con la regia di Yves Degryse del collettivo belga Berlin, fondato nel 2003 da Bart Baele, Caroline Rochlitz e lo stesso Degryse – esplora i punti oscuri della Storia trasformando il racconto di Mohr nel fulcro di una narrazione sospesa tra realtà e finzione. Lo spettacolo si concentra sulla ricostruzione di una giornata simbolica: il 17 aprile 1945, quando l’orchestra dei Berliner avrebbe suonato, nei bunker della capitale tedesca assediata, la marcia funebre del Götterdämmerung di Wagner.

Il lavoro della compagnia Berlin si inserisce all’interno di un più ampio progetto dedicato al racconto delle città: il gruppo vive un luogo, ne assimila le vicende, le strade e le persone, per poi restituirlo con lo sguardo esterno dell’osservatore. Già grandi nomi del passato si sono interrogati sul rapporto con il tessuto urbano, si pensi a Peter Brook con il suo carpet show, a Pina Bausch con la serie di performance concentrate su varie città, fino ad arrivare a esempi recenti di decodifica dello spazio urbano come L’uomo che cammina di DOM. Il racconto di Mohr diviene esso stesso scrittura e documentario, mette in discussione la ricostruzione storica di quello che è stato, sovrapponendo alla realtà altre versioni, plausibili, ma mai accadute, destabilizzando il confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Ma, d’altronde, se immaginare il futuro è possibile, reinventare il passato non è, in parte, tradire la verità? L’autofiction è ormai un codice riconosciuto nel teatro contemporaneo, ma questo caso sembra andare oltre: non si tratta solo di inventare in prima persona una storia attendibile, ma di modificare il passato comune attraverso il racconto preciso di un vecchio direttore di scena, che quegli eventi pare abbia vissuto davvero.

Durante il meta-documentario, gli strati narrativi si intrecciano: il livello storico tenta di ricostruire l’evento attraverso materiali d’archivio, mentre il presente cerca di ritrovare luoghi, case e vie legati al presunto concerto. Anche il palco si trasforma e lentamente gli strati che lo coprivano rivelano un laboratorio di effetti visivi e sonori in diretta, il vero “dietro le quinte”. Tuttavia, più si scava nella vicenda, più emergono contraddizioni, fino alla scoperta che il concerto nei bunker non è mai avvenuto. Ma proprio questa messa in scena trasforma la finzione in realtà: “I sogni esistono per essere realizzati”, afferma Mohr, regalando alla Storia un finale migliore. Chi è dunque l’eroe di questa vicenda? Forse proprio quel Sigfrido di Wagner nel Crepuscolo degli Dei – ultimo capitolo della tetralogia dell’Anello del Nibelungo – di cui la celebre marcia funebre in do minore ricorda le gesta. Così la morte dell’eterno eroe coincide con la fine della guerra, la fine di un sogno mai avverato e la speranza di un nuovo mondo. 

E quella finestra iniziale, verso cui Mohr si rivolge, non è più il simbolo di un futuro non ancora scritto, ma di un possibile passato da reinventare. Alla fine, nulla è codificato né granitico, i confini vacillano e la verità non è stabilita. Anzi, forse proprio lì dove la Storia ha fallito, si può trovare una soluzione migliore da raccontare, come quella volta in cui una delle migliori orchestre al mondo ha suonato nei bunker della Berlino del 1945.

Francesca Rigato

Foto di Koen Broos

altri articoli su:
The making of Berlin

questo articolo fa parte di:
Fermata Stratagemmi

CONDIVIDI

SEGUICI FB / IG