BIOGRAFIA D’ARTISTA
Fermata Stratagemmi / Paesaggi condivisi
Nella geografia immaginaria progettata per ridisegnare il continente europeo si dialoga ad oggi sul tentativo di plasmare “città continue”: realtà capaci di non esaurirsi alla frontiera delle regioni di appartenenza e caratterizzate da un’attenzione per il paesaggio e per la natura. Questo pensiero viene accompagnato dalla necessità di condividere riflessioni e ragionamenti sul tema della sostenibilità: anche l’arte, in quest’ambito, può esercitare la propria funzione precipua, contribuendo ai processi sociali e generazionali di presa di consapevolezza e creazione di orizzonti possibili.
All’interno di questa visione si inserisce Shared Landscapes – Paesaggi condivisi: Sette pièce tra campi e foreste, parte del progetto Performing Landscape, curato da Caroline Barneaud e Stefan Kaegi insieme ad altri dieci artisti e artiste. Un unico paesaggio – l’Europa – che diventa un’enorme distesa in cui numerose discipline possono trovare collocazione.
Caroline Barneaud è direttrice dei progetti artistici e internazionali del Théâtre Vidy-Lausanne, la sua progettualità è orientata verso nuove esplorazioni di formati e discipline che tentano di mettere in discussione la comunità contemporanea e le sue forme di relazione e di connessione interna. Stefan Kaegi dei Rimini Protokoll ha ricevuto, insieme al collettivo berlinese, il Leone d’Argento per il teatro alla Biennale di Venezia 2011; si occupa di teatro documentario e radiodrammi in spazi nomadi e urbani. I due collaborano regolarmente da più di quindici anni per approfondire le questioni sociali relative all’ordinarietà dell’esistenza: in Nachlass (2016), dal tedesco “eredità”, il dibattito etico di fine vita veniva esposto nelle stanze di un teatro senza attori, dove i loro oggetti, insieme ad alcune installazioni audiovisive, venivano scoperti dal pubblico, testimone così del loro passaggio sulla terra; in Utopolis Lausanne (2022), prendendo spunto dalla satira socio-politica Utopia, scritta da Thomas More nel 1516, per le strade di Manchester, San Pietroburgo, Colonia e Losanna viene eseguito un rituale artistico partecipato con il fine di costituire un codice per «una nuova idea di convivenza e il miglior stato della repubblica» della società di domani.
In occasione di Performing Landscape Barneaud e Kaegi hanno riunito un gruppo variegato e multiforme di artiste, scienziati e professioniste del teatro in un collettivo di ricerca interdisciplinare temporaneo, interessato a formulare una nuova modalità di racconto dello spazio naturale che circonda e che attraversa l’ambiente in cui l’uomo si ritrova a vivere.
Di seguito i nomi degli artisti coinvolti nella performance: un filo di Arianna che si snoda sul terreno poco battuto del verde fuori città in sette variazioni del tema ecologico-sociale.
Da più di dieci anni, Chiara Bersani e Marco D’Agostin esplorano insieme «con rabbia, furore e sostegno» la nozione di corpo politico, dove il corpo stesso si trasforma, da custode riservato di una storia unica e irripetibile, a testimone in scena del suo incontro/scontro con la società. Bersani è artista con disabilità, autrice e performer di danza contemporanea. Nel 2018 riceve il Premio UBU come miglior attrice/performer under 35; nel 2019 all’Edimburgh Fringe Festival vince con Gentle Unicorn – sua opera “manifesto” – il primo premio per la categoria danza dei Total Theatre Awards. D’Agostin è artista associato al Piccolo Teatro di Milano, già vincitore del Premio UBU 2018 come miglior performer under 35, nel 2023 riceve il Premio UBU per il miglior spettacolo di danza con Gli anni e il 4° Premio Riccione Speciale per l’innovazione drammaturgica: nei suoi lavori si serve di archivi, personali o collettivi, per indagare il funzionamento della memoria e avviare, attraverso una relazione diretta con gli spettatori, pratiche di condivisione. Tra gli altri, i due artisti collaborano in occasione di BEST REGARDS (2020) – spettacolo idealmente dedicato al coreografo e regista teatrale Nigel Charnock progettato e performato da D’Agostin, dove il dialogo sempre vivo tra lui e Bersani emerge attraverso la condivisione di una lettera scritta dalla performer e rivolta alla platea, aprendo così una riflessione sulla forma epistolario, intesa come un dispositivo del tempo, in grado anche di contraddirlo – e il più recente Jérôme Bel (in scena questa primavera al Teatro Studio Melato) – in cui lo spettacolo-autoritratto dell’omonimo coreografo viene reinventato approfondendo le riflessioni, già contenute nella creazione di Bel, sulla produzione artistica e la sua sostenibilità.
Per El Conde de Torrefiel – duo fondato nel 2010 da Tanya Beyeler e Pablo Gisbert – lo spettatore viene concepito come un testimone consapevole. Svizzera lei e spagnolo lui, entrambi hanno lavorato nella compagnia La Veronal di Marcos Morau e studiato drammaturgia a Barcellona: nella loro arte coesistono teatro e letteratura, per un’estetica sia testuale che visiva. Il loro lavoro esplora concetti e linguaggi estremamente contemporanei attraverso il rapporto che intercorre tra personale e politico, come ne La Plaza (2018, poi ripreso nel 2023) in cui vanno in scena percorsi urbani di vita ideale di una folla senza volto, ma anche in Se respira en el jardín como en un bosque (2020-2022) e in Cuerpos Celestes, progetto site (un)specific per la piattaforma CaixaForum+ in cui vengono registrate e collezionate, come in una guida turistica digitalizzata, una serie di passeggiate sonore.
I coreografi portoghesi Sofia Dias e Vítor Roriz collaborano dal 2006: nel 2011 viene loro attribuito il Prix Jardin d’Europe per Um gesto que não passa de uma ameaça, un lavoro in cui gesto e parola, tramite una ripetizione ossessiva di espressioni e ritmi, variano continuamente di significato, e tra il 2023 e il 2024 ottengono una residenza artistica alla Fundação Champalimaud. Nella loro costante ricerca e sperimentazione si servono di video, podcast e installazioni per creare spettacoli e performance, realizzare laboratori e gruppi di riflessione. Nel 2018 e poi nel 2023 sono stati chiamati a curare il PACAP (Advanced Program of Creation in Performing Arts) presso il Fórum Dança di Lisbona.
Begüm Erciyas e Daniel Kötter grazie alla loro collaborazione offrono ai presenti l’esperienza di un paesaggio svuotato, visto da una prospettiva verticale. Dopo aver studiato biologia molecolare e genetica ad Ankara, Erciyas si dedica alla danza e si sposta tra Berlino e la vicina residenza artistica al deSingel di Anversa. È interessata a indagare formati transdisciplinari in cui il tema centrale è il contrasto tra l’isolamento e l’unione con l’opera d’arte. Kötter lavora da vent’anni come regista in pratiche teatrali e documentaristiche finalizzate allo studio delle politiche territoriali. I suoi lavori comprendono la pluripremiata trilogia girata tra il 2017 e il 2020 sulle periferie urbane, composta da Hashti Teheran, Desert View, Rift Finfinnee, e le performance in realtà virtuale sull’impatto dell’attività estrattiva nei paesaggi di Papua Occidentale, Sassonia, Ruhrgebiet, Repubblica Democratica del Congo ed Estonia (2018-2021).
La musica di Ari Benjamin Meyers si riversa sull’area del Parco delle Groane. L’artista americano, formatosi come compositore e direttore d’orchestra alla Juilliard School, Yale University e Peabody Institute, col suo lavoro ridefinisce il rapporto tra esecutore e pubblico, spaziando dal concetto museale a quello concertistico. Le sue opere sono state esposte in alcune tra le istituzioni e i festival più importanti del panorama internazionale e le sue ultime due performance, Unless e Forecast (LX23), girano in tournée per tutta Europa. È atteso nelle sale con il film Marshall Allen, 99, Astronaut a Nebula, evento collaterale della Biennale di Venezia, per procedere poi con una personale al Kunsthalle for Music presso il Museum Abteiberg di Mönchengladbach.
L’ecofemminista Émilie Rousset è oggi direttrice artistica di John Corporation, compagnia teatrale francese con la quale esplora modalità di scrittura performativa sempre nuove: registra i linguaggi e le oscillazioni di pensiero che vengono riflesse per concepire allestimenti in cui le parole sono incarnate nella sovrapposizione di realtà e finzione. La sua serie di cortometraggi Les Rituels è stata proiettata, tra gli altri, al Centre Pompidou: qui esplora svariate fasi della vita comune, dal compleanno al voto, fino al battesimo o le riprese di un grande dibattito presidenziale. L’ultimo capitolo Rituel 5: La Mort fa parte del Talents Adami program presentato al Festival de Cannes.
Dopo il debutto nel 2023 a Chalet-à-Gobet al Théâtre Vidy-Lausanne, la performance di Paesaggi Condivisi è stata tradotta e adattata per il Festival di Avignone, per il Berliner Festspiele, per Tangente St. Pölten – Festival für Gegenwartskultur. La versione milanese è stata prodotta da Zona K e dal Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, e ospitata all’interno del Parco delle Groane, situato nell’hinterland della città. A ottobre, poi, la performance sarà realizzata al Culturgest di Lisbona, al Bunker & Mladi Levi Festival in Slovenia e al Temporada Alta, nella regione di Girona. In ognuno di questi luoghi i cittadini hanno l’occasione di prendere parte a una passeggiata di sette ore alla scoperta della fragilità umana e della sua immutabile connessione con la natura, dove il paesaggio non viene inteso semplicemente come un fondale, una scenografia vivente, ma piuttosto uno spazio con cui entrare in relazione diretta, attraverso la fruizione di creazioni sonore e multimediali all’aria aperta.
Effetti Collaterali
Case tipiche (1938), Gio Ponti: itinerari tra dieci edifici residenziali della città di Milano. A partire dallo studio della relazione tra “casa felice” e paesaggio, l’architetto milanese edifica «Domus» dalle ampie vetrate e grandi terrazzi, le quali creano strade-giardino e boschi verticali in una successione di inusuali spazi verdi all’interno del cemento urbano.
Canzoni contro la natura (2014), traccia numero tre dell’omonimo album discografico di The Zen Circus. Una mordace riflessione in cui si immagina la ribellione dell’ambiente, accompagnata sul finale dalla voce di Giuseppe Ungaretti che – in un’intervista del 1965 rilasciata a Pasolini e incisa nel brano – si interroga sulla natura dell’animo umano e le ripercussioni di questo sulla terra in cui vive.
Quando abbiamo smesso di capire il mondo (2021), terzo e acclamato romanzo (pubblicato da Adelphi) di Benjamín Labatut in cui lo scrittore indaga i tentativi di comprensione dell’universo messi in atto da celebri fisici e matematici: le loro esperienze di vita e scoperte sono impiegate come paradigmi della mente umana, a dimostrazione che il vero oggetto di studio della scienza non è nient’altro che la sua stessa relazione con la natura.
Omelia contadina (2020) cortometraggio di Alice Rohrwacher e JR presentato fuori concorso alla Biennale Cinema 2020, poi tramutato in installazione presso la Galleria Continua di San Gimignano nel 2021. Celestiali inquadrature dall’alto celebrano il trapasso dell’agricoltura attraverso un corteo funebre realizzato per piangere la quasi totale scomparsa della relazione con l’universo agreste: un appello al mondo di oggi e al tempo stesso un arcadico canto di speranza agli dèi, affinché possano tutelare il legame tra l’uomo e il pianeta.
Alessia Vitalone
foto: Luca Del Pia