Intervista a Alessandro Renda e Jens Hillje

Osservatorio Stratagemmi / Non siamo niente, saremo tutto

Francesca Rigato e Chiara Carbone, dall’Osservatorio Stratagemmi, conducono una doppia intervista con il regista e il dramaturg, che raccontano genesi e processo dello spettacolo partecipato cui hanno lavorato a quattro mani nel corso del 2022 e che ha coinvolto professionisti e non in incontri, laboratori teatrali, ricerca, video documentari, canzoni di protesta e cortei.


Com’è nato questo progetto?

Alessandro Renda: Tutto è iniziato da una chiamata di ZONA K che mi ha elettrizzato per la sua particolarità. Mi si chiedeva di collaborare con Jens Hillje e di lavorare con i cittadini di Milano e di La Spezia. La singolarità della richiesta stava anche negli aspetti tematici che mi si chiedeva di approfondire e tenere insieme: il mondo del lavoro, il 150° anniversario del testo dell’Internazionale e la possibilità di lavorare in maniera corale con professionisti e non professionisti. 

Come si sono intrecciate le vostre competenze? 

Jens Hillje: Alessandro ha sempre chiaro dove vuole arrivare ed è importante perché costringe chi lavora con lui a trovare una nuova prospettiva, un nuovo linguaggio, tralasciando volutamente ciò che già si conosce. Il mio compito è stato cercare cosa non era stato ancora detto, trovare ciò che non era stato indagato su un palcoscenico e individuare cosa avrebbe potuto essere interessante rappresentare. Si cerca sempre una combinazione tra un’idea prestabilita e qualcosa che non si sa.

Qual è la vostra urgenza rispetto al tema trattato?

A.R. Con Jens abbiamo subito definito un orizzonte di interessi comuni per creare un “combattimento”, seppur piacevole, con le richieste che ci aveva fatto la produzione. Ci siamo chiesti sin da subito come trattare la questione di fondo, il mondo del lavoro, in un modo più ampio: non ci attirava, infatti, l’dea di esplorare problematiche dei vari comparti lavorativi, ma piuttosto di approfondire quanto noi siamo, a nostra volta, responsabili delle problematiche del lavoro degli altri o perlomeno quanto possiamo rispecchiarci nelle scelte altrui per avere maggiore consapevolezza dei nostri desideri o frustrazioni. Con la volontà di creare qualcosa senza risposte, ma con tante domande da poter condividere.

Come si è svolta la chiamata per coinvolgere i non professionisti? 

A.R. All’inizio abbiamo deciso di indagare i lavori non produttivi (care work) legati alla cura del prossimo: insegnanti, corpo scolastico, infermieri, medici, badanti. Però, quando si fa una chiamata aperta, non è detto che rispondano le persone che ci si aspettava e così è stato: si sono presentati disoccupati, studenti, professionisti di altri ambiti, pensionati, tutti accomunati da diverse esperienze teatrali, e così abbiamo iniziato ad ascoltare le storie di questi lavoratori, storie di scelte fatte o non fatte, di vocazioni seguite o di necessità della vita. 

Cosa avete chiesto ai lavoratori? Quali sono state le prime fasi del processo creativo con i partecipanti?

J.H. Abbiamo lavorato molto sulle domande, perché il modo in cui chiedi qualcosa determina la risposta delle persone. Abbiamo fatto richieste molto concrete e le persone hanno iniziato a parlare delle loro professioni in modo inconsueto: non si lamentavano — come ci saremmo aspettati — delle condizioni lavorative, ma ci hanno invece raccontato un rapporto molto intimo con il proprio lavoro e con i colleghi, con cui passano quasi più tempo che in famiglia. La domanda più interessante è stata “cosa volevi fare da grande?”, perché porta a parlare molto apertamente della propria idea di vita e della propria vocazione, in un modo spesso fragile e vulnerabile.

Qual è la struttura dello spettacolo? 

A.R. Abbiamo lavorato in contemporanea su tre drammaturgie: una drammaturgia scenica per attori professionisti; un corteo poetico, per esplorare ciò che hanno ancora da dirci le parole del poeta anarchico Eugène Pottier ne L’Internazionale e una restituzione video delle storie raccolte, una parte documentaria, che comunque abbiamo da subito ritenuto necessaria per il progetto. È un lavoro di vera sinergia, costruito strada facendo. La sfida è diventata quella di tenere insieme letteratura e documentario, finzione e realtà, teatro e reale.

Sono tantissimi gli spunti che sono confluiti durante il percorso: ci sono anche dei riferimenti a America di Kafka. In che modo quest’opera ha influenzato il vostro lavoro?

A.R. Avevamo bisogno di uno sprofondamento in un mondo altro che potesse legare e far leggere questi racconti in maniera diversa, non solo documentaristica, e così siamo arrivati al Teatro Naturale di Oklahoma, l’ultimo capitolo di America, romanzo inconcluso di Kafka. Lo scopo è stato quello di restituire una struttura, anche enigmatica, che potesse racchiudere alcune delle questioni che abbiamo indagato.

A questo proposito, in che modo le storie dei singoli possono trasformarsi in un quadro collettivo? 

J.H. La parte interessante è stata proprio trasformare l’esperienza individuale in una testimonianza che rappresentasse un’esperienza condivisa. Abbiamo lavorato con un gruppo molto variegato che ha una differenza d’età consistente, dai 15 ai 70 anni. Tutti hanno toccato gli stessi problemi, anche se accompagnati da sentimenti diversi: i più giovani con maggiore speranza e i più anziani con disillusione. Ascoltando le risposte si comprende come il lavoro diventi per ciascuno di noi, indipendentemente dall’età, espressione di chi siamo come esseri umani. Di tutto questo materiale volevamo restituire una visione veritiera, un’immagine filtrata dal teatro, illuminando una prospettiva nuova sul lavoro attraverso le possibilità della messa in scena. 

Chiara Carbone

Laureata in Scienze della Musica e dello Spettacolo, si è formata come critica teatrale attraverso la rivista “Stratagemmi”, Biennale Teatro 2022 e il blog Sik-Sik. Ha collaborato in campo critico e organizzativo con Prospettive Teatrali, Tieffe Teatro Menotti, Teatro Franco Parenti e Charioteer Theatre. Ha lavorato nell’ambito dell’insegnamento.

Francesca Rigato

Dopo la laurea in flauto traverso frequenta la magistrale di Scienze della musica e dello spettacolo presso l’Università Statale di Milano, presso la stessa università nel 2021 viene ammessa al dottorato con un progetto sui teatri milanesi. Parallelamente agli studi storici inizia una formazione come critica teatrale presso la Biennale Teatro 2021 e 2022 e con “Stratagemmi – Prospettive Teatrali”.

Non siamo niente, saremo tutto

Una chiamata pubblica, decine di lavoratrici e lavoratori che rispondono (il “lavoro” è il fil rouge). È l’inizio del progetto che si è concretizzato nel 2022 e che ha coinvolto professionisti e cittadini nel progetto teatrale prodotto da ZONA K, con Jens Hillje e Alessandro Renda, per esplorare storie individuali e affrontare il tema da differenti prospettive.

altri articoli su:
Non siamo niente, saremo tutto

questo articolo fa parte di:
Osservatorio Stratagemmi

CONDIVIDI

SEGUICI FB / IG