GEOGRAFIE – Stagione Teatrale 2024

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“La storia è maestra di vita”. Siamo abituati a ripeterlo allo sfinimento, fin da bambini. Tanto è abusato il detto antico che ha finito col perdere potere, e dalla storia sembriamo aver imparato poco, più spesso niente. La sorella gemella della storia è la geografia. Non si fa storia senza terra, non esiste storia senza confini da attraversare, conquistare, ripristinare, sacrificare. Non esistono popoli che non dicano, a ragione e più spesso a torto, questo è mio. Non esiste storia senza geografia, dunque: eppure, da sempre, nella retorica culturale e nella costruzione dei percorsi scolastici e accademici, la geografia è figlia di un Dio minore. Ricordo infantile di elenchi di capitali e di nomi di laghi e altezze di monti, e niente altro.

Ci voleva il riattivarsi prepotente della storia, il rimescolarsi brutale delle carte dell’economia, il ribollire di sangue giovane che sente innaturali tutti i confini di corpi e anima, i deserti e i mari, per ricordarci che le geografie esistono, ci riguardano, ci definiscono: e altrettanto fanno gli umani con loro. Ci voleva che i segni della diseguaglianza arrivassero in modo chiaro, incontrovertibile e veloce ai più poveri, per mobilitarli alle traversate. Serviva che l’azione dell’uomo cambiasse l’ecosistema globale, producendo siccità e inondazioni, per spingere le carovane della salvezza a muovere verso Nord, proprio seguendo la rotta opposta a quella che, centinaia di migliaia di anni fa, portò poche migliaia di homo sapiens a garantire futuro alla nostra specie, sopravvivendo nel cuore dell’Africa. 

Era un tempo senza nazioni e senza confini, un tempo di sconfinamenti di sopravvivenza senza il quale l’umanità non sarebbe stata. Un’era in cui i fattori di una natura sconosciuta e indomabile decidevano tutto, e la geografia pre-umana poteva solo adattarsi: se ci riusciva.

Oggi, nel tempo della iper-umanità, dell’antropocene che ha modificato irreversibilmente atmosfere e temperature, indagare le geografie del mondo e dell’anima significa attraversare le scelte dei popoli e di chi li domina e il concetto stesso di democrazia, la sua dimensione utopica, la tentazione di considerarla desueta. Significa interrogare, questionare, criticare, ringraziare o maledire l’umanità stessa, che nello spazio costruisce e dà nomi ai luoghi, progetta l’armonia o incuba il dominio e la distruzione. Le geografie che guardiamo, infine, ci mettono proprio davanti a un bivio: ci ricordano che niente è dato, e ogni terra promessa giusta è solo frutto di scelta e decisione.

Oggi, nel tempo della iper-umanità, dell’antropocene che ha modificato irreversibilmente atmosfere e temperature, indagare le geografie del mondo e dell’anima significa attraversare le scelte dei popoli e di chi li domina e il concetto stesso di democrazia, la sua dimensione utopica, la tentazione di considerarla desueta. Significa interrogare, questionare, criticare, ringraziare o maledire l’umanità stessa, che nello spazio costruisce e dà nomi ai luoghi, progetta l’armonia o incuba il dominio e la distruzione. Le geografie che guardiamo, infine, ci mettono proprio davanti a un bivio: ci ricordano che niente è dato, e ogni terra promessa giusta è solo frutto di scelta e decisione.                                                                

Jacopo Tondelli

[giornalista e scrittore, co-fondatore e direttore di Gli Stati GeneralI]

Foto di Cesura

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3 Focus tematici per raccontare il mondo di oggi attraverso performance e spettacoli teatrali: 1. Transiti 2. Territori 3. Reti

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